da Londra, Donato Parete
Come è tipico del pragmatismo inglese, a Londra della possibile uscita della Grecia dall’euro si parla abbastanza poco. Ciò ha a che fare col pragmatismo, fuori dai luoghi comuni, semplicemente perché le banche inglesi sono poco esposte al debito greco, semmai prosaicamente guardano a distanza l’astuzia degli istituti di credito francesi (molti) e tedeschi (un bel po’) che sicuramente si son giovati (nel 2010) della mancata ristrutturazione vera del debito greco, soluzione che sarebbe stata allora determinante e risolutiva, e forse quasi indolore, ma che non avrebbe giovato ai bilanci, appunto, delle banche francesi e tedesche. Si è preferito trasferire l’esposizione alle istituzioni europee, via via, e così sono trascorsi 5 lunghi anni di assurda giostra che davvero ha messo in ginocchio l’economia reale del paese ellenico.
Non mi unisco al coro facile troppo facile di chi dice che di austerità si muore, semplicemente perché apprezzo i Paesi che ne han saputo fare tesoro, non certo come la Grecia che comunque ha continuato a vivere al di sopra dei propri mezzi (pensionati baby, statali fortunatissimi e abbondanti, ive ridotte, esenzioni fiscali). Alludo alla formidabile Irlanda (ripresissima), alla Finlandia, alla Lettonia, alla Spagna (non solo Merkel: questi qua pretendono il rigore che è toccato loro…), al Regno Unito naturalmente (che con i tagli alla spesa pubblica è diventato vera locomotiva dell’Ue, ne ho già scritto) e persino all’Italia, se vogliamo riconoscere a Renzi la strada delle riforme che a Londra come al washingtoniano Fmi (proprio in questi giorni) non manca di riscuotere apprezzamento, quella via difficile già intrapresa dal mio chiarissimo professore di Economia Politica, il presidente Mario Monti, che al netto di ingenuità da alieno della vera arena politica e dell’olimpo dell’attenzione mediatica (e naturalmente, anche, il potere gioca strani irretimenti…) stava incamminando il Paese fuori da 50 anni di Dcddp (democrazia cristiana del debito pubblico) e da 20 anni di berlusconismo incatenato (catene bossiane o, ancor peggio, finiane, casiniane, brrr). Ma invece ve lo ricordate Berlusconi del 94? Ferrara ministro… Martino, Pera, Pannella, i liberali al potere? Io non ricordo quanto è durato quel sogno… Pochi giorni. In Italia i liberali non possono governare, quelli pensano che valgano il lavoro e il merito, noi siamo o corporativisti o cattocomunisti…
Basta, ridestiamoci: insomma, dicevo, a Londra non s’assolve né la Grecia pinocchio dissipatore né l’Unione Europea dolosamente ritardataria. Quello che conta, scrive l’editorialista Wolfgang Munchau del magnifico Financial Times, è agire: ristrutturare il debito, cioè cancellarlo, o si scrivono solo idiozie contabili, e incamminare così il Paese alla ripresa, mantenendolo nell’euro! Fondamentale. L’italiano più rispettato dalla City è Mario Draghi, il suo dogma sull’irrevocabilità dell’euro è davvero importante. Questo lo dicono soprattutto i miei amici italiani che a Londra sono banker, gestori e trader nei piani alti a Canary Wharf. Lo dicono per l’Italia naturalmente, non possiamo essere neutrali, Grexit sarebbe terribile per noi: sconteremmo il rischio uscita anche noi (piigs, appena dopo i greci), mitigheremmo subito gli effetti benefici del Qe e ci ritroveremmo subito il debito pubblico che sale per l’aumento del costo degli interessi sul debito stesso. Nel gorgo perverso di “acque inesplorate” (Draghi). Altro che Brexit (ne parleremo la prossima volta).