di Andrea Beato
Paolo Di Camillo guida oggi la cantina che sorge a Poggiofiorito (Chieti). Investimenti continui in innovazione, senza dimenticare la lunga storia dell’attività. Per vini sinceri apprezzati nel mondo.
NEI TERRENI E IN CANTINA LA QUINTA E SESTA GENERAZIONE DELLA FAMIGLIA DI CAMILLO
All’interno di ogni bottiglia non c’è solo il risultato di una mera maturazione dell’uva e dei suoi processi chimici, non ci sono soltanto profumi, sapori e colori inconfondibili. Il suono morbido del sughero stappato sprigiona l’intensità di un territorio, diffonde i valori, i sacrifici di persone autentiche che hanno saputo realizzare quel vino, accostandosi per sempre al prodotto. Ci sono storie che si intrecciano, che proseguono caparbiamente nel tempo. Così è per Di Camillo, il cui percorso nella viticoltura affonda le radici addirittura nel lontano 1887. E oggi, a più di un secolo di distanza, a portare avanti l’attività sono la quinta e sesta generazione. Amministratore unico è Paolo Di Camillo, che a febbraio 2019 ha rilevato interamente l’omonima società dopo la prematura scomparsa del cugino Giuseppe, avvenuta a fine dello scorso anno. Una continuità che è vera ricchezza, capace di guardare da un lato alla tradizione e, dall’altro, alla volontà di innovare, rimanendo al passo e potendo competere in contesti importanti. Siamo in Abruzzo, nel cuore della provincia teatina, nel comune di Poggiofiorito. Posizione invidiabile, a metà strada tra l’Adriatico e i massicci montuosi della Maiella, per un microclima unico. «È qui – ricorda Paolo Di Camillo – che il nostro capostipite, proveniente dal vicino borgo di Castel Frentano (Chieti), cominciò a dedicarsi alla coltivazione di frutta, grano e poi a quella della vite».
LA STORIA DI DI CAMILLO VINI NEL RACCONTO DI PAOLO DI CAMILLO
Le prime trasformazioni e commercializzazioni avvengono a inizio ‘900. Lo sviluppo della piccola impresa si scontra con eventi straordinari, più grandi di tutto: i due conflitti mondiali e il dopoguerra rappresentano periodi estremamente difficili. «Con tanti sforzi si decise di costruire la cantina proprio nel centro del paese, per successivamente edificare un’altra struttura, molto più grande e attrezzata, su un sito più decentrato acquistato dalla famiglia. Mio nonno Giuseppe, detto l’ortonese, scelse anche di spingersi fino a Pescara e inaugurare alcune locande nella zona della Marina Nord, dove chiaramente proponeva i suoi vini». Con l’aiuto del figlio Nunziato, il mercato si allarga progressivamente a regioni limitrofe come Lazio, Marche, Puglia e, addirittura, in Svizzera e Germania. «Parliamo, allora, di sfuso destinato principalmente a privati e commercianti del settore, senza mai dimenticare la logica locale». Passo fondamentale l’apertura, di lì a poco nella città dannunziana, di un centro di imbottigliamento diretto per soddisfare meglio i clienti. «A caratterizzare gli anni ’80 – prosegue ancora Paolo Di Camillo – l’approdo oltreoceano, con le vendite negli Stati Uniti e la volontà di portare all’interno dell’azienda una sostanziale rivoluzione». Rinnovamento tecnologico tradotto in cospicui e concreti investimenti in macchinari moderni, coinciso incredibilmente con lo scoppio dello scandalo metanolo: vicenda sconvolgente che porta al decesso e all’intossicazione di numerose persone in Lombardia, Piemonte e Liguria, con ripercussioni però negative sull’intero comparto italiano.
STORIA E PROGRESSO, MIX PERFETTO PER DI CAMILLO VINI
«Tuttavia la forte determinazione ci ha progressivamente condotto a diventare quello che siamo adesso, mix tra storia e progresso». Numeri che parlano da soli: 20 ettari a filari, a conduzione esclusivamente biologica, la bottaia che ospita ben 500 barrique, ciascuna da 225 litri, la produzione annua che si attesta sui 3 milioni di pezzi e l’impianto di imbottigliamento che ne arriva a lavorare 6mila l’ora, lo staff composto da 10 collaboratori tra tecnici altamente qualificati e impiegati, il fatturato in crescita del 7% negli ultimi sei mesi, cercando di bilanciare l’export (al 95% nel 2018, con tanta Europa e Asia) a favore di un deciso incremento in ambito nazionale, già in atto partendo dalla Capitale. «Obiettivo che passa dalle nostre etichette, espressioni di vitigni come Montepulciano, Merlot, Malbec, Cabernet Sauvignon, Pinot Nero, Pinot Grigio e Pecorino. Linee per l’horeca di assoluta qualità e diversificate per offrire un’ampia gamma: «Accanto alle “classiche” Riserva, Contessa Camilla, Rocca Antica e La Tosca, troviamo le nuove Poderj, Tenute del Pojo e l’ultima nata, Sidhuri, presentata allo scorso Vinitaly di Verona. Il nome richiama l’antica epopea di Gilgamesh e la saggia divinità associata alla fermentazione, simbolo di immortalità». Trascendenza nella comunicazione che si unisce alla costante attenzione sull’operatività quotidiana, «dal campo al risultato finale, puntando sempre più – conclude l’amministratore – sulla purezza, la genuinità del vino, “stressandolo” il meno possibile, con un basso tasso di invasività e quindi minori interventi dal punto di vista enologico».