di Donato Parete
PANNELLA E QUESTA FRAGILE EUROPA
L’abruzzese regalato al mondo, Marco Pannella, riceve in questi giorni di forti acciacchi nella sua casa romana. Noi suoi corregionali dovremmo correre ad abbracciarlo…
Il professor Romano Prodi va dicendo una cosa di minima coscienza che dovrebbe appartenere a tutti e cioè che bisogna guardare all’Europa oggi come all’Italia dopo il fasto mondiale del Rinascimento. Se tanti piccoli stati, divisi e in lotta, rimasero tali, non poterono che perdere centralità e importanza quando si andarono consolidando grandi stati nazionali. L’Europa se non si afferma è condannata a uguale declino: la globalizzazione porta anche e soprattutto questo. Gli Stati Uniti, pur con qualche tentennamento, restano lo stato guida (dell’economia, dell’occupazione, della finanza, per ora…); la Cina cresce (di meno? Il 6 percento?); l’India e l’emergente Indonesia son là; la Russia è sempre l’Orso. Il continente dello zar. Se non fosse per il petrolio sotto i 40 dollari… Tutto ruota intorno al petrolio, sempre, altro che fondamentalismi salafiti wahabiti. Ed è incredibile che proprio gli Usa di Obama (prodigi della tecnologia della frantumazione delle rocce per estrarne petrolio di scisto) siano diventati il primo produttore al mondo. Più di Arabia Saudita ed Emirati messi insieme. Altro che Kissinger. Così Putin è all’angolo. I sauditisis, dal canto loro, non gradiscono: i patti risalivano al 1947, a Roosevelt.
Che succede in una geopolitica così complicata? Che l’Europa si divide sui migranti e sul rigore di bilancio. E rischia Brexit. Invece di essere nell’happy few dei player planetari. Mah. Gli Stati Uniti d’Europa e d’Israele erano il sogno di molti anni fa del nostro Marco Pannella, all’Onu (un abruzzese all’Onu? Ce ne siamo dimenticati). Commovente ogni tanto con la bandiera israeliana sulle spalle, in piazza. Aveva ben presente 7 milioni di abitanti di un giardino nel deserto, con 70 milioni intorno che li vogliono annientare. Ah, è pure una democrazia. Una democrazia vera. Lì. Con l’opposizione, giornali liberi. Ma noi italiani ogni tanto parteggiamo: siamo cattocomunisti, mica siamo liberali. Ai tempi del pentapartito (a proposito, coniò la parola partitocrazia, altro che Grillo, prima) non il Pli, ma loro, i Radicali, erano i liberali nell’Italia a-liberale come è oggi. Renzi (ex Movimento Giovanile Dc, con i pantaloni corti, anni 90, dietro a Lapo Pistelli e, quindi, a Rutelli, Rutelli primo delfino di Pannella, poi andato via), il Renzi insomma che è un premier che fa, tutto è meno che un cretino.
Mi ha impressionato vederlo quasi con le lacrime agli occhi, giorni fa, a metà marzo, appena di rientro dal summit dei Socialisti europei presso Hollande, davanti alla casa di Marco, insieme al candidato a Roma Roberto Giachetti, valente ex radicale. «Tranquilli, io e Roberto lo abbiamo trovato forte, bello tonico» ha detto al taccuino della Arachi del Corriere della Sera. Ogni tanto fa sfuriate al suo Abruzzo, non so se ci ha perdonato l’intruppamento per zio Remo (come lo chiamava). Tutti, gli dobbiamo tantissimo. Il divorzio, la libertà di aborto («perché i cattolici scelgano di non praticarlo», il suo senso religioso è fuor di dubbio), l’obiezione di coscienza, Amnesty e Hands Off Cain, Nessuno Tocchi Caino, Radio Radicale che ha accompagnato ogni giorno la maturazione pre-web di tanti di noi, la battaglia per le carceri che dura tutt’ora (le sue Pasque sono “dentro”, sempre), ma, meglio, tanto di quel che ha reso in quarant’anni moderno e civile, quasi, il Paese. Forza Marco, abbiamo ancora bisogno dei tuoi cazziatoni, insegnamenti e testimonianza.