L’ECONOMIA MONDIALE AI TEMPI DEL COVID-19

a cura di Marco Taviani

Gli analisti di Euler Hermes hanno provato a valutare i primi impatti di carattere macroeconomico e i riflessi sul tessuto imprenditoriale nazionale.

L’IMPATTO DEL CORONAVIRUS SULL’ECONOMIA MONDIALE

Facendo un po’ di cronistoria, a partire da gennaio 2020, l’impatto economico della pandemia si è manifestato principalmente con un shock dell’offerta sul mercato cinese, facendo retrocedere il commercio globale e interrompendo le catene di approvvigionamento legate al gigante asiatico. Da qui sono partiti i primi evidenti segnali di cedimento dei mercati finanziari con un conseguente violento shock della domanda, che danneggiava i consumi e gli investimenti in Cina, Europa e Stati Uniti. I governi locali hanno adottato misure straordinarie in tempi straordinari per appiattire la curva di recessione. Ma il costo di un intero trimestre di difficoltà del commercio globale dovrebbe essere di 772 miliardi di dollari. La conseguenza principale è quindi la revisione al ribasso della nostra stima di crescita del Pil globale per il 2020 a + 0,8%, da + 2,4%. Ma quale sarà l’impatto sulla crescita del nostro Paese? L’emergenza da Covid-19 sta determinando condizioni di vita e di lavoro decisamente diverse dal normale. Il nostro Paese sta reagendo con un cambio delle abitudini degli italiani, che in maniera rigorosa stanno seguendo le indicazioni del governo e delle istituzioni sanitarie nazionali nel restare a casa per evitare l’ulteriore diffusione dell’influenza. Il governo italiano ha imposto la chiusura di molte aziende manifatturiere e di tutto il commercio al dettaglio non legati ai beni di prima necessità. Sempre più datori di lavoro hanno sfruttato la digitalizzazione. Imprese e aziende rimaste aperte hanno invitato i dipendenti a lavorare da casa, utilizzando quello che si definisce “smart working” o lavoro agile. Ma non tutte le aziende sono riuscite a organizzarsi.

LO STOP FORZATO E LE RIPERCUSSIONI SUL PIL ITALIANO

Il “lockdown” avrà sicuramente un impatto forte sulla nostra economia nella prima parte del 2020. Abbiamo stimato che un mese di interruzione delle attività determinerà una crescita negativa del Prodotto interno lordo nel 2020, che dovrebbe attestarsi a un -3,5% rispetto al 2019 (rispetto a un +0,3% in precedenza stimato). Questo valore potrebbe addirittura arrivare a un -6% se la serrata totale dovesse aumentare per due mesi. Questo calo del valore della produzione italiana, insieme a tutte le misure messe in campo dal governo per far fronte alla emergenza sanitaria, determinerà un peggioramento di uno degli indici attraverso i quali viene valutata la tenuta dei nostri conti pubblici: il rapporto fra il debito pubblico e il Prodotto interno lordo dovrebbe salire al 140% nel 2021. Nel frattempo, il governo ha lanciato un pacchetto di misure che comprende: misure sanitarie di emergenza, indennità per i lavoratori costretti a una interruzione temporanea della loro attività, un fondo di garanzia per le Pmi, una moratoria fiscale e rinvio dei pagamenti di mutui e prestiti (in collaborazione anche con il sistema bancario italiano) e la compensazione per le società che subiscono una perdita di fatturato superiore a una determinata soglia. Non è escluso che ulteriori risorse possano essere messe in campo e che parte di esse possano essere destinate al settore bancario italiano, che ancora sconta nel suo complesso un elevato rapporto di crediti deteriorati, nonostante le diverse operazioni di pulizia di bilancio effettuate negli ultimi anni. E quali sono i settori maggiormente colpiti? Molto difficile trovare dei settori che usciranno indenni dall’attuale blocco delle attività sociali ed economiche del nostro Paese. I settori principalmente impattati da questa chiusura sono il turismo e i trasporti: la diffusione del virus determinerà una notevole riduzione dei turisti da e verso l’Italia e più in generale l’Europa, a cui si aggiunge un significativo rallentamento dei servizi legati ai trasporti.

QUALI SETTORI REAGIRANNO MEGLIO ALLA PANDEMIA?

Il ritorno a livelli normali di attività dovrebbe essere molto graduale, portando le perdite di circa 6 miliardi di euro sia nel turismo sia per i servizi di trasporto. Sicuramente le aziende che presentano un’elevata dipendenza dall’export e dalle catene di produzione globali hanno già cominciato a soffrire, a partire da gennaio, quando il Coronavirus ha cominciato a diffondersi in Cina. Il settore automotive e la meccanica, ad esempio, trovano nel mercato cinese sia un mercato di sbocco delle produzioni che un mercato di approvvigionamento di componenti. Altre industrie, caratterizzate da una elevata leva finanziaria e da una scarsa liquidità soffriranno dell’attuale fermo delle attività produttive e non saranno in grado di generare adeguati flussi di cassa per far fronte ai propri impegni. All’interno di questo panorama sicuramente non roseo, ci sono dei settori che riusciranno a trovare comunque delle prospettive di sviluppo. Fra questi il pharma e il bio-medicale, anche in una prospettiva di medio-termine, e quelli che offrono servizi immateriali come Ict e telecomunicazioni. Entrando direttamente sul tema imprese, l’uscita dalla recessione continuerà a porre serie sfide per alcune realtà, in particolare per quelle eccessivamente indebitate e scarsamente capitalizzate, a causa della perdita di fatturato che non si riuscirà a compensare durante la crisi entro la fine dell’anno. Prevediamo che le insolvenze delle imprese aumenteranno del 14% in tutto il mondo nel 2020, del 16% in Europa e addirittura del 18% in Italia.

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