di Maurizio Ottaviano Delfino
La stampa tradizionale ha acclamato la nomina del nuovo sottosegretario alla Giustizia, richiamando un po’ alla memoria i tempi di Gaspari e poi di Sospiri, in cui il sano orgoglio abruzzese prescindeva dalla storia o dalle storie individuali ed enfatizzava chi andava nei posti che contano. L’Abruzzo c’è, caspita! E non è poco, da quando questa strana seconda o terza repubblica ha un po’ violato i codici non scritti, degli equilibri regionali nella distribuzione delle cariche. Perché di questo si tratta, oggi come 60 anni fa non è cambiato nulla. Le cariche si distribuiscono, non si selezionano. Sarebbe un argomento, anzi purtroppo e per fortuna in più parti nel mondo – anche se non ce lo dicono – lo è, quello del chi e come viene scelto come ministro, come membro del cda della Rai e così via. E non vogliamo nemmeno pretendere da Renzi una costante, assoluta, completa coerenza fra quel che dice e quel che fa. Non lo si pretende da nessuno, non lo si è mai preteso, non vediamo perché (compreso chi scrive, ndr) lo si deve pretendere da Renzi.
Sentiamo però almeno legittimo evidenziare che il tema c’è tutto, che fra le suggestioni di Renzi sul Paese che siamo e sul Paese che dobbiamo diventare, e le scelte che compie, c’è più di qualche discrasia, dicono quelli che hanno studiato. E con questo non vogliamo sminuire le recenti nomine del Governo, ma solo ricondurci a quei discorsi accorati con cui Renzi – sempre lui – parlava di curriculum, di titoli, di snellezza della macchina pubblica…
In ogni caso siamo lusingati di avere un sottosegretario abruzzese e di Pescara, per giunta. Facciamo le congratulazioni più sentite, offriamo sin da subito lo spazio e la collaborazione se possiamo contribuire in qualche modo al compito, per l’Abruzzo, per il Paese. Oltretutto, davvero con sincerità, che sia una donna è una grande opportunità, per il solo fatto che in certi momenti storici alle donne è più e meglio concesso di rompere le righe, di spaiare le carte, di scaraventare la realtà in primo piano, ma di farlo al momento che serve, quello in cui si decide qualcosa…
La giustizia non è una cosa importante, sarebbe riduttivo. La giustizia è la più grave urgenza di questo Paese. Civile, penale e amministrativa. Quest’ultima andrebbe abolita, peraltro, e ricondotta nell’alveo di quella civile. L’effetto di una giustizia riformata, nelle norme e nell’amministrazione, della giustizia fra privati e nel rapporto con lo Stato, avrebbe un effetto di esplosione atomica, positiva fuori dall’immaginazione.
Potremmo, ancora oggi, tornare a essere la capitale del mondo, altro che Merkel, Usa, Junker o troika! Draghi alla Camera ricordava studi che attestano che solo il dimezzamento dei tempi della giustizia (civile), la più lenta del cosmo, produrrebbe una crescita delle imprese di oltre il 12%, così, con un click, lo stesso di come si nomina un sottosegretario. Per esempio, che sogno: il nuovo sottosegretario alla Giustizia, zitta zitta, raccoglie in un paio di mesi anche meno, tutti gli studi e le ricerche che dettagliano questa tragedia italiana, va in Parlamento e lancia una sfida rivolta a tutte le università europee. Mette in palio 2 milioni di euro da raccogliere col crowdfunding (le offerte di chi è interessato all’idea). Le università, anche in associazione fra loro, devono elaborare un progetto che preveda l’abbattimento del contenzioso esistente in 18/24 mesi e l’elaborazione di un modello processuale che torni alle origini della scienza processualcivilistica moderna, che indicava nell’“oralità, concentrazione e immediatezza” i principi teologali della giustizia civile. Quindi un nuovo processo che duri massimo 20 mesi, per 3 gradi. Nella gara devono fornire anche l’articolato del decreto legge, con le misure straordinarie per la prima parte – l’emergenza del contenzioso vecchio, visto che mediamente, senza offesa, ma sulle cose che contano il Parlamento e i governi le leggi non le sanno fare – e la riforma dell’ordinamento e dei codici per il nuovo modello.
Forse davvero solo una donna, in quanto tale, potrebbe far questo, cioè prendere atto, come direbbe Beppe Grillo, che il paziente è stramorto (la giustizia in Italia, dicasi rispetto alla situazione attuale e alla prospettiva economica e sociale di medio periodo) e proporre l’unica soluzione, cioè una svolta epocale totale. Un processo, sottosegretario, che nel primo grado duri massimo 4 mesi, fatto di un confronto libero e veloce che metta a nudo subito fatti, diritti e persone (avvocati, parti, testimoni, giudici e consulenti, quando proprio servono), con le poche carte che davvero occorrono, come già accade oggi, peraltro. Per meno di questo, diceva qualcuno, non val la pena.