PRIMA LA NATURA PER I VINI BIO DI MARCHIOLI WINES

di Andrea Beato

La vita di campagna vissuta ogni giorno e l’amore di Gianluca Marchioli verso la coltivazione della vite producono dei sorprendenti vini con un carattere puramente “green oriented”.

GIANLUCA MARCHIOLI: LA STORIA DI UN VIGNAIOLO

«Non sono un venditore. Voglio raccontare la vita di un vignaiolo. La quotidianità di quello che faccio e porto avanti nei miei terreni: l’approccio artigianale, il susseguirsi delle stagioni, le fasi, la cura dei particolari… Far capire al consumatore cosa c’è davvero in una bottiglia. Inoltre, l’intento è essere esempio per i miei due figli, ancora piccoli, mostrando loro che dietro la vigna esiste un mondo complesso, variegato, che, se nutrito con passione, rappresenta una strada per sentirsi realizzato appieno». Va dritto al punto Gianluca Marchioli, titolare dell’omonima realtà che sorge a Casalbordino (Chieti). “La città del vino” si legge sull’insegna posta all’ingresso del centro urbano, un territorio vocato da sempre alla viticoltura. «Qui – continua Marchioli – sono stato tra i primi a ottenere la certificazione biologica, ormai nel lontano 1997. La mia è un’azienda vergine per quanto riguarda l’utilizzo di glifosato. Ho fatto analizzare la terra che lavoro ed è totalmente pura! Le piante vengono trattate con la Zeolite, corroborante naturale, una polvere di roccia lavica che ha azione preventiva e curativa contro funghi e insetti. In più, in cantina adottiamo lieviti “green”, a base di miele e flora autoctona».

DAL NONNO DOMENICO E PAPÀ TITO FINO AL BRAND “MARCHIOLI WINES”

Un cerchio che si chiude, una vera e propria missione che trae origine dai sacrifici di nonno Domenico e papà Tito: «Nel periodo dopo la Seconda guerra mondiale, mio padre è emigrato in Canada, a Oakville, vicino Toronto. Impiegato nel settore dell’edilizia, tutto quello che riusciva a mettere da parte lo inviava in Italia, con il desiderio di ingrandire la tenuta di famiglia. Tornato in Abruzzo, la scelta di dedicarsi completamente al mestiere di contadino, fino a quando, molto tempo più tardi, una malattia degenerativa se lo è portato via. Disturbo provocato, tra le possibili cause, anche dall’utilizzo di prodotti chimici di cui prima si faceva largamente uso in agricoltura. Proprio per questo motivo ho poi deciso di intraprendere il percorso del bio». Da ventenne catapultato alla guida dell’attività, a poco a poco, Marchioli riesce quindi a prenderne le redini e a cambiarne l’anima. «Accanto al conferimento delle uve, nel 2016 mi sono spinto verso l’imbottigliamento, con la realizzazione di una personale linea identificata dal brand Marchioli Wines. Tre declinazioni: il Montepulciano d’Abruzzo Dop “Titus”, il Cerasuolo d’Abruzzo Dop “Thomas” e il Trebbiano d’Abruzzo Dop “Fides”. Non voglio “aprire” ad altri vitigni che non siano rappresentativi della nostra regione».

I VINI “MARCHIOLI WINES”, CON DENTRO IL TERRITORIO, PROTAGONISTI ANCHE ALL’ESTERO

«La volontà quella di puntare sulla qualità, sulla nicchia. A contraddistinguere ogni etichetta le originali illustrazioni di una garzetta, un martin pescatore e un fratino, volatili che amano frequentare le nostre zone». La commercializzazione è rivolta al canale horeca, muovendosi dal mercato locale, ma con l’export che ormai incide per oltre il 70% del business. «Mi sono preso delle belle soddisfazioni – sottolinea Gianluca Marchioli -. Nonostante la pandemia legata al Covid-19, l’impossibilità di partecipare a fiere ed eventi di settore, i miei vini hanno continuato a viaggiare arrivando fino in America, a Singapore e Bangkok. In particolare, negli Stati Uniti, sono attualmente in carta in molti ristoranti e trattorie di Manhattan, a New York, e, prossimamente, si potranno trovare perfino a Las Vegas». Con semplicità, rispetto e in modo autentico, Marchioli sta così realizzando i suoi sogni: «Da sei sono passato a dieci ettari di proprietà. Sono stato in grado di allargare i confini, rimanendo legato e valorizzando le origini, nel ricordo dei miei cari, soddisfatto e felice per un’esistenza del genere. Ed è questo che per me ha valore, che conta più di ogni altra cosa!».

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