NUOVA VIA DELLA SETA: OPPORTUNITÀ PER L’ABRUZZO?

di Roberto Di Gennaro

 La Belt & Road Initiative (Bri), la Nuova via della seta, avviata nel 2013, è il perno centrale della strategia politico-economica cinese. Un imponente piano di investimenti in infrastrutture terrestri e marittime che connetterà l’intera area eurasiatica. Quali aspettative e timori genera questo ambizioso progetto?

LA STRATEGIA CINESE PER L’ECONOMIA GLOBALE SI FONDA SULLA NUOVA VIA DELLA SETA

Nei giorni scorsi si sono svolti due importanti summit bilaterali che hanno coinvolto l’Unione europea e, a turno, le due principali controparti asiatiche: il ventesimo vertice Ue-Cina (16 luglio a Pechino) e il venticinquesimo vertice Ue-Giappone (17 luglio a Tokyo). Mentre quest’ultimo appuntamento ha portato all’attesa sottoscrizione del rilevante accordo di partenariato economico tra Ue e il Giappone (di cui abbiamo dato conto in un precedente numero dell’edizione cartacea di Abruzzo Magazine), a Pechino la discussione si è concentrata specificamente sulle relazioni strategiche tra UE e Cina, su commercio e investimenti, sulle questioni ambientali, sulla politica estera e sulla sicurezza. Sotto la luce dei riflettori, comunque, c’è il cardine della politica economica internazionale cinese, la Belt and Road Initiative (Bri, o anche Obor “One Belt, One Road“), ovvero la “Nuova Via della Seta“: un massiccio piano di investimenti in infrastrutture terrestri e marittime che, nel collegare Asia, Africa ed Europa, interesserà 65 Paesi. Avviata nel 2013 come parte della strategia governativa “Made in China 2025“, la Bri è un imponente (e rischioso) progetto, che prevede la costruzione di vari corridoi infrastrutturali, identificabili simbolicamente in una cintura terrestre (silk road economic belt) e in una rotta marittima (maritime silk road), a rievocazione delle antiche rotte commerciali della storica Via della Seta. Di seguito proponiamo una panoramica articolata delle potenziali opportunità e dei possibili rischi che l’attuazione di questo mastodontico piano può comportare, con speciale riguardo agli aspetti politico-economici europei e italiani.

LA NUOVA VIA DELLA SETA: CINQUE OPPORTUNITÀ

  1. Ingenti investimenti cinesi in aree infrastrutturali europee e italiane

Con 1.800 miliardi di dollari di investimento complessivi per i prossimi dieci anni, la Bri rappresenta il più ambizioso progetto economico mai concepito dai tempi del Piano Marshall. L’iniziativa prevede la disposizione di corridoi infrastrutturali terrestri e marittimi per rafforzare i collegamenti tra Asia ed Europa, attraverso la costruzione di strade, linee ferroviarie, porti, aeroporti e aree industriali in oltre 60 Paesi, tra cui l’Italia. Secondo alcune stime, entro la metà di questo secolo, la Bri potrebbe addirittura annoverare l’implementazione di circa settemila opere infrastrutturali transcontinentali, con un totale di investimenti valutati tra i 4.000 e gli 8.000 miliardi di dollari. Grazie alla realizzazione delle infrastrutture potranno essere potenziati i collegamenti merci diretti e definite linee passeggeri ad alta velocità. Per l’attuazione di questo gigantesco piano di investimenti sono stati istituiti già due enti: il Silk Road Fund (creato nel 2014) e l’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), attivato nel 2016 con molti Paesi europei quali membri fondatori.

  1. Enorme area mercato potenziale ad alto interscambio commerciale

Attraverso il miglioramento delle connessioni infrastrutturali e il consolidamento della cooperazione tra i Paesi asiatici, africani ed europei coinvolti, la Bri apre nuove e rilevanti opportunità di mercato e di crescita economica per l’intera area. Per avere un’idea delle dimensioni e delle prospettive, basti ricordare che questo enorme mercato rappresenterebbe il 55% del Pil globale, il 70% della popolazione mondiale e il 75% delle riserve energetiche conosciute. Un’immagine palese del peso specifico che il blocco euroasiatico può assumere nell’interscambio commerciale internazionale. Le esportazioni dei Paesi orientali verso l’Unione Europea sono già ora assai rilevanti (il 20% delle importazioni complessive nell’Ue arrivano dalla sola Cina), mentre il volume globale dell’interscambio nell’area eurasiatica è significativamente indirizzato dal lato dell’export verso il colosso asiatico, in particolare per quanto riguarda commodity e risorse energetiche (a testimonianza dell’incremento esponenziale del fabbisogno energetico cinese nell’ultimo decennio).

  1. Rinnovata centralità strategica del Mediterraneo e dell’Adriatico

Il corridoio marittimo fiancheggerà tutta l’Asia orientale e meridionale, procedendo fino al Mar Mediterraneo tramite il canale di Suez. Questo disegno porterà il “Mare Nostrum” (e l’Adriatico specialmente) a riconquistare la sua storica centralità strategica. Sono già stati effettuati significativi investimenti infrastrutturali in alcune aree portuali europee e grandi prospettive si aprono in particolare per gli scali italiani. Il più importante porto della Grecia (Pireo) è oggi sotto il controllo cinese, così come il nuovo terminal container di Vado Ligure (acquisito per oltre il 60% dalla cinese Cosco). Secondo i dati elaborati dalla società Deloitte, la Cina nel 2016 ha mobilitato 20 miliardi di dollari nei porti internazionali, il doppio rispetto al 2015, arrivando a partecipare alla gestione di circa 80 scali a livello globale. Anche le opportunità commerciali si enunciano estremamente proficue per i porti italiani, in quanto è già in atto una tendenza di crescita verso gli approdi del Mediterraneo, a discapito delle altre rotte europee. Secondo lo Shanghai Shipping Institute, il traffico di merci movimentato dai porti cinesi raddoppierà entro il 2030.

  1. Accorciamento dei tempi di percorrenza delle merci lungo le reti eurasiatiche

La via terrestre della Bri (un corridoio che, attraversando tutta l’Asia Centrale, arriva fino al Nord Europa e alla Spagna) interessa la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali: ferrovie, autostrade e aeroporti. Obiettivo di questo rafforzamento dei collegamenti è quello di produrre rilevanti benefici nella movimentazione delle merci e nelle dinamiche logistiche tra i mercati orientali e le principali destinazioni europee, con sostanziali vantaggi di costo e accorciamento dei tempi di percorrenza (dalla Cina all’Europa in due settimane). Tramite la costruzione di una nuova via terrestre, l’Italia (con gli hub di Venezia, Trieste e, in parte, Genova) potrebbe recitare un ruolo da protagonista. Nel nostro Paese verrebbero infatti convogliate direttamente le merci che viaggiano dalla Cina e lungo le reti dell’Eurasia, per poi ripartirle nel resto del vecchio continente, aggirando l’attuale transito dai porti del Nord Europa e comportando un parziale mutamento a favore della nostra Penisola negli assetti economico-logistici europei.

  1. Nuove possibilità per le imprese europee sui mercati orientali

Favorendo i collegamenti tra Asia, Africa ed Europa, la Bri alimenta anche nuove occasioni di affari per le imprese interessate. Molti paesi nella zona dell’Asia centrale e del Sud-est asiatico hanno specifico bisogno di infrastrutture, pertanto proficue prospettive si aprono per il business europeo in ottica di gare e appalti (purché si accertino parità di condizioni e trattamento). Mercati, inoltre, che attualmente appaiono distanti o complessi da raggiungere potrebbero risultare più abbordabili in futuro per le imprese italiane. Secondo uno studio di Sace (Gruppo Cdp), opportunità degne di attenzione potrebbero venire dalle economie dell’Asia centrale, che mostrano ancora significativi margini di crescita. Anche se è il comparto oil & gas a farla attualmente da padrone nell’export verso i Paesi asiatici, lo stimolo a una diversificazione economica in quelle aree spingerebbe a favorire, nel breve termine, i prodotti della meccanica strumentale e, nel medio-lungo periodo, i beni di consumo dei settori moda, arredamento e apparecchi elettrici.

LA NUOVA VIA DELLA SETA: CINQUE RISCHI

  1. Rafforzamento sostanziale della leadership cinese nell’economia globale

La nuova Via della Seta è il cardine dell’attuale politica estera cinese e intende costituire un’ulteriore spinta all’espansione economica nazionale. La chiara percezione, comunque, è che si miri primariamente a rafforzare la leadership globale della Cina, raffigurando inoltre strategicamente un blocco economico-politico eurasiatico in aperta contrapposizione con la sfera transatlantica. L’allargamento economico del colosso orientale procede speditamente. Uno studio pubblicato recentemente da Bloomberg ha elaborato il dato degli investimenti cinesi in Europa da parte delle imprese cinesi (pubbliche e private) negli scorsi dieci anni: 318 miliardi di dollari in 678 operazioni completate o in via di definizione (un valore molto superiore rispetto a quello degli Stati Uniti). Molti Paesi stanno cominciando a manifestare preoccupazioni e perplessità. L’Unione Europea, dopo un’iniziale entusiasmo, sta ora avvertendo (anche con atteggiamenti contraddittori) le possibili insidie che la strategia politico-economica cinese può comportare per gli equilibri mondiali. Gli Usa, da parte loro, stanno misurando i mutamenti globali in atto e l’attuale “guerra dei dazi” probabilmente ritrae l’aspetto apparente dei futuri rapporti di forza economici.

  1. Benefici economici e tecnologici a vantaggio prevalente delle imprese cinesi

La Belt & Road Initiative rappresenta indubbiamente un potente strumento di vantaggio competitivo per le imprese cinesi, con importanti ricadute sul piano commerciale e tecnologico. C’è chi pone l’accento sul fatto che questa espansione sui mercati da parte del colosso orientale è indirizzata primariamente a sostenere le proprie esportazioni, a salvaguardare l’accesso alle materie prime e ad assorbire il surplus di capacità produttiva che caratterizza numerosi suoi comparti industriali. A metà aprile tutti gli ambasciatori dell’Ue a Pechino (eccetto quello ungherese) hanno espresso, in un rapporto ufficiale, critiche e perplessità nei confronti della politica economica cinese, affermando che la Bri «va contro il programma dell’Ue per la liberalizzazione del commercio e sposta gli equilibri di potere in favore delle imprese sussidiate cinesi» e che la Cina intende modellare la globalizzazione in base ai propri interessi. A questo si devono aggiungere i limiti di reciprocità ancora in atto, con la presenza di barriere tariffarie e non-tariffarie che rendono talvolta difficoltoso l’ingresso nel mercato cinese da parte delle imprese europee, oppure le richieste della Cina di cessione di tecnologia per consentire alle aziende estere di fare affari in loco.

  1. Incompatibilità su regole e meccanismi della cooperazione internazionale

Anche se la Bri comporta grandi opportunità di mercato e di investimento, l’approccio della Cina suscita sospetti e diffidenze da parte degli altri Paesi, anche in ragione delle significative divergenze tra i sistemi politico-economici. Per molte realtà territoriali (e non solo europee) il modello cinese di cooperazione internazionale presenta inconciliabilità dirimenti, in particolare a livello di trasparenza e di regole giuridico-formali. La via europea alla collaborazione, ad esempio, si basa primariamente su procedure e convenzioni standardizzate (contratti, istituzioni, ecc.), mentre il metodo cooperativo della Cina si è spesso retto storicamente su sistemi di relazione interpersonale (Guanxi) e su principi informali. Queste differenze, così come la propensione cinese a stabilire intese individuali con i Paesi coinvolti nella Bri, possono rendere piuttosto problematica l’adozione di meccanismi efficaci di multilateralismo tra la Cina, l’Europa e le altre realtà interessate. Importante anche la verifica dei regimi di trasparenza cinesi, incluso i casi relativi a possibili operazioni economiche e aggiudicazione di appalti da parte di imprese estere.

  1. Allarmanti ripercussioni sulla sostenibilità ambientale e sul clima

Una questione che sta passando un po’ in sordina è il livello di impatto ambientale e climatico che un progetto faraonico come la Bri può comportare. A sollevare il problema ci ha pensato un gruppo di ricercatori internazionali diretti dal biologo australiano William F. Laurance (della James Cook University), con un articolo pubblicato su “Nature Sustainability“. Il team di ricerca ha affermato che l’iniziativa cinese, ripartita su tre continenti, rappresenta presumibilmente l’operazione più rischiosa, dal punto di vista della sostenibilità, che sia mai stata intrapresa. I punti messi in discussione sono molteplici: la realizzazione stessa delle infrastrutture previste (con relativo aumento di emissioni di gas serra), l’aumento esponenziale della domanda di materie prime (in una fase già critica per il pianeta in termini di risorse disponibili) e la concezione anacronistica della strategia cinese rispetto alle conseguenze ambientali e sociali. Secondo il Wwf, inoltre, la Bri potrebbe attraversare oltre 1.700 aree critiche per la biodiversità e determinare profondi impatti sull’habitat naturale con centinaia di specie minacciate.

  1. Preoccupazioni cinesi su eventuali contraccolpi economici e politici

Critiche e perplessità sulla colossale iniziativa della Cina non giungono solo dall’esterno del Paese orientale. In una recente edizione della serie “China Analysis”, pubblicazione dell’European Council on Foreign Relations (primo think-tank pan-europeo), sono state messe in evidenza le percezioni cinesi sui rischi degli sviluppi della Belt & Road Initiative. La preoccupazione è rivolta soprattutto sul pericolo di un effetto boomerang generato dagli enormi investimenti indirizzati su progetti a basso rendimento in paesi ad alto rischio di turbolenza politica o instabilità sociale (specialmente nell’area nordafricana). In relazione alle conseguenze economiche, inoltre, alcuni intellettuali e scrittori cinesi ritengono che, in un momento di rallentamento della crescita, la Cina stia dislocando in modo non sempre adeguato le proprie risorse. Anche le attività di governance e di gestione della Aiib sono sotto osservazione, così come il pericolo, in un progetto tanto complesso e articolato, di una dispendiosa sovrapposizione delle iniziative. A questo vanno aggiunti i potenziali contraccolpi sul piano diplomatico, dovuti all’implementazione di un progetto marcatamente espansionistico anche in paesi sospettosi e potenzialmente ostili.