di Stefano Cianciotta
Senza scomodare la fisica classica, che con la teoria dei poli opposti che si attraggono ha cambiato volto e senso alle cose di tutti i giorni, la ripresa della fiducia dei mercati passa attraverso due soggetti che poco o nulla hanno in comune, tranne l’ostilità tedesca. A un banchiere cresciuto in Goldman Sachs e a un giovane diventato presto leader in piazza, l’Europa affida le speranze di continuare a giocare un ruolo decisivo nella (geo)politica economica mondiale, tornando a produrre ricchezza e prosperità all’interno di un’area diventata finalmente unita. Almeno a livello di politica monetaria. Quello che è accaduto di recente in Svizzera, che ha sbloccato il tasso di cambio del suo franco con l’euro, ha fatto capire ancora una volta che dalla moneta unica non si può tornare indietro, perché nel mondo globale e interconnesso c’è chi guida e chi subisce. E l’Europa, nonostante abbia perso il 30% del Pil dalla seconda guerra mondiale, è ancora uno dei Paesi che stabilisce le priorità e detta l’agenda insieme con Usa e Cina, e in quota minore Gran Bretagna e Giappone. Le politiche economiche di un singolo Paese, pertanto, devono essere lette in un’ottica comunitaria. Alla politica monetaria della Bce, che con la futura acquisizione di titoli pubblici entro il 2016 avrà immesso liquidità nel sistema per oltre 1.500 miliardi di euro, devono fare seguito politiche di riforme dei singoli Stati. Il Jobs Act, ad esempio, da solo creerà poca occupazione se Renzi in Italia non pone il tema della politica industriale al centro dell’agenda, se non si riforma la giustizia civile e non si interviene sulla spesa pubblica. Va riorganizzata e cambiata la cultura della pubblica amministrazione, che è una grande risorsa per il Paese, ma che è diventata paradossalmente il principale ostacolo al suo sviluppo. La vittoria di Syriza in Grecia apre per Renzi, ma in generale per le nazioni che hanno un debito eccessivo, una ulteriore finestra di opportunità: quella di ottenere più flessibilità di quanta finora l’Italia non abbia ottenuto. Non solo: poiché gli investitori scommettono che la moneta unica uscirà dalle elezioni greche più debole di prima, il cambio scenderà ancora, per la gioia di chi esporta. A beneficiarne saranno anche le imprese abruzzesi che fanno dell’export il loro “core”, soprattutto quelle del settore agroalimentare, che nell’ultimo anno hanno registrato una crescita del 7,6%. A giovarne, però, dovrebbe essere anche il settore delle costruzioni, soprattutto quello immobiliare, i cui segnali di ripresa delle compravendite nel 2014, cresciute del 2% anche nella nostra regione, con un eloquente più 30% dei mutui, dovrebbero costituire un buon viatico per il 2015. La grande disponibilità di liquidità immessa da Draghi nel mercato, infatti, renderà ancora più appetibile accendere mutui, soprattutto per l’acquisto delle prime abitazioni. E gli abruzzesi, al pari degli italiani, hanno un risparmio privato considerevole che, se torna la fiducia, sarà impiegato per l’acquisto di beni durevoli, visto che i Bot ormai non rendono più nulla. Se le stime del Centro Studi di Confindustria, infine, dovessero diventare realtà, il Qe di Draghi può spingere il Pil dell’1,8% in due anni, con un risparmio sugli interessi delle imprese di 3,2 miliardi di euro. È ancora presto per definire se questi primi segnali determineranno una ripresa strutturale e omogenea nel tempo. Ma intanto permettono a imprese e famiglie di cominciare timidamente a guardare al di là del guado. Burocrazia permettendo.