di Stefano Cianciotta
A orientare le scelte universitarie degli studenti pesano sempre di più le possibilità occupazionali offerte non solo dal percorso di studi da intraprendere, ma anche da un livello di servizi sempre più differenziato e competitivo nel territorio che ospita gli Atenei. Come ha opportunamente scritto Gianni Trovati qualche settimana fa sul Sole 24 Ore, il territorio da solo non segna il destino di un ateneo, ma aiuta però a determinarlo. Ecco, quindi, ad esempio che, nonostante le università meridionali perdano quote consistenti di studenti iscritti, l’Orientale di Napoli, il Politecnico di Bari e l’Università di Salerno al contrario li aumentino. La qualità dell’offerta formativa trova consistenza e ragione d’essere nell’interazione molto forte tra il sistema accademico e le realtà imprenditoriali, particolarmente incisiva come nel caso del distretto aerospaziale pugliese, che costituisce un’eccellenza nel sistema della ricerca europea, capace di dare vita ad un’unica area di sviluppo su queste tematiche insieme con il distretto aerospaziale di Napoli.
Secondo i dati diffusi dalla Conferenza dei rettori, la riduzione drastica dei finanziamenti ordinari e degli investimenti in ricerca hanno fatto perdere negli ultimi anni al sistema accademico 10mila posti da docente e ricercatore, pari al 13%, contro una diminuzione media del 5% nella pubblica amministrazione. Eppure, a giudicare dai numeri delle immatricolazioni diffusi dal Ministero dell’Università, la diminuzione totale di nuovi ingressi nell’ultimo quinquennio si attesta su un modesto -3%. Sono le preferenze degli studenti che, di fatto, stanno ridisegnando la geografia accademica. Sempre di meno studiano giurisprudenza (-35%), economia (-6,2%), architettura e ingegneria civile, mentre sono in crescita le iscrizioni a ingegneria dell’informazione (+27,9%) e scienze informatiche (+36,7%). Le indicazioni degli studenti, insomma, stanno ridefinendo i contorni nei quali il sistema accademico deve (ri)collocare la propria offerta formativa, che deve essere adeguata con grande velocità alle rapide esigenze del mercato. Perché l’università e il suo territorio siano percepiti come un valore aggiunto e un differenziale competitivo per avere chance maggiori in un mercato in grande e rapidissima evoluzione occorre, pertanto, uno sforzo sinergico tra mondo accademico, sistema delle imprese e pubblica amministrazione, che vede purtroppo una sostanziale differenza tra Nord e Sud del Paese.
A Milano, ad esempio, tutti gli stakeholder stanno ragionando sul futuro delle aree post Expo per dare vita ad un grande contenitore in grado di liberare risorse ed energie per la ricerca. Anche l’Emilia Romagna, da diversi anni, si è orientata su questa scia con la rete dei tecnopoli. All’Aquila, nella ricostruzione post sisma, università, istituzioni e imprese sono impegnate a creare una strategia comune nel settore della ricerca chimico-farmaceutica. Il Sud, nonostante le tante eccellenze accademiche, sconta problemi atavici che convincono i ragazzi a scegliere altre strade, dove la qualità dell’offerta formativa si coniuga con le possibilità del territorio di ragionare ed esprimere una visione unica del futuro. Investire su una nuova e non più indifferibile relazione virtuosa tra gli attori del territorio resta l’unica chance che l’Italia (e il Sud soprattutto) hanno per attrarre talenti, ed evitare la fuga inesorabile di chi sceglie giustamente altri Paesi per sviluppare le proprie competenze.